“UOMINI E TOPI”, di John Steinbeck – LA MIA RECENSIONE/RIFLESSIONE (NO SPOILER)

Storia semplice.
Storia di dialoghi continui.
Di uomini miserabili, lavoratori senz’altra scelta che la fatica.

Bifolchi, zotici, di quelli abituati a tal punto alla mancanza di libertà che li sfiderei a non convincersi di avere vino in un bicchiere d’acqua davanti ai loro musi, pur di mantenere almeno la libertà di prendersi per il culo con la capacità di sognare ancora.

Sognare.
Che la prossima terra da lavorare sarà la loro magari, niente più ranch alle dipendenze di nessuno!
Sognare.
Di non dover dar conto più a nessuno se non a sé stessi!
Sognare, sognare e lavorare.

Tutti questi miserabili lo fanno.
Ognuno nella propria autonomia, solitari esseri agognanti aria migliore.
E George è Lennie non sono da meno.
Il primo è pragmatico e con un po’ di sale in zucca; il secondo è un gigante, incredibilmente forte, ma completamente incapace di provvedere a sé stesso: diméntico, ossessionato dal voler accarezzare “le cose belle” e null’altro; George addirittura crea e narra gli stessi sogni dell’amico; se non fosse che il pisciare gli derivi da uno stimolo fisiologico, probabilmente George dovrebbe instillare in Lennie pure l’immagine della minzione per poterlo far scattare verso il cesso.

In tutto un ammasso di dialoghi serrati, tra rabbia, gelosie, speranze, fanciullesche emotività e sordide furbizie, “Uomini e Topi” di Steinbeck non risparmia nulla al lettore.

Nulla.

E allora bevete da questo calice di vino, scoprite quanto mosto può esservi in centilitri d’acqua di disperazione, e, viceversa, quanto facciano male gli splendidi sogni lontani dall’ubriachezza.

-diegofanelli-

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Il blog “noninundemonesolo” (e tutti i contenuti in esso pubblicati, eventualmente condivisi anche su altre piattaforme esterne al blog stesso), di proprietà di Diego Fanelli (aka – diegofanelli – ), email: diegobruges@gmail.com, è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.

Un tempo lento, stasera

Un tempo lento, stasera.

Una luce soffusa, un pizzico di retorica visionaria nel luogo sconfinato incastonato tra le orecchie, e il mio cagnolino sotto il tavolino le cui orecchie mi solleticano le gambe…

Un tempo lento, stasera.
Placida, delicata solitudine.

– diegofanelli –

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Cronache dal Tavolo 17

Non sei più vivo se non provi un brivido nel consegnare una moneta da 2 euro a due ragazzi che suonano per strada.
Alzi il pollice, li saluti velocemente.
Ti avranno sorriso, credi; ma il punto, è quel brivido: strisciante prova elettrica che sei ancora capace di sorridere del poco.

I titoli dei libri ti attraggono; entrare nelle librerie ha ancora senso perché, ancorché tu legga ormai solo in digitale, rimane incomparabile la sensazione di sorpresa visiva scaturita da quei muri di copertine più o meno illustrate, a suggerirti “leggimi, stronzo!”

Sei vivo perché quando un titolo ti reclama, hai la forza di leggerne brevemente la sinossi, e, dopo aver assaporato un’eventuale delusione – un’incoerenza con l’immaginario creatoti in prima battuta -, dici che potrebbe essere uno spunto per una tua di storia: la storia del come sarebbe dovuta andare con quel titolo…

I cagnolini sono spaesati nella confusione; confusi, eppure teneramente fiduciosi nell’andar seguendo i passi del bipede che ha rubato loro il cuore.

La ragazza al tavolo 16 non ti sembra completamente in sé; è arrivata adesso in tutta fretta parlottando da sola, ha un cellulare bianco, ha ascoltato un audio e non fa altro che guardarsi indietro, puntando gli archi che tu vedi di fronte a te; fa cenno a qualcuno di avvicinarsi, una coppia di amici arriva.
È tutto ok, la ragazza al 16 è ok, è solo incredibilmente sovreccitata; dice che gli altri stanno arrivando, il tavolo le è stato riservato infatti…non sei vivo se non accorri al tavolo 16 senza essere piacevolmente in ansia per un qualunque motivo; e, cazzo, non sei vivo se non sei seduto al tavolo 17 a scrivere di quella viva al tavolo 16!

Sei vivo se entri al McDonald’s e poi ne vieni fuori, un po’ per la fila, un po’ perché non sai che diamine fare (e poi mangi una Margherita in un locale poco lontano).

Però sei morto…
Sei morto quando non chiedi alla cameriera del bar il suo nome e se le piacerebbe darti il suo numero; sei morto quando la ragazza seduta di fronte alla chiesa scriveva sul suo diario e tu non le hai chiesto di farsi una foto con te, o magari semplicemente due chiacchiere…

Valeva la pena spendere 29 euro per un anello con un àncora?
Probabilmente l’avresti visto perfettamente calzante al dito di Long John Silver, in un tuo libro dal titolo: “L’Isola del Tesoro di Stevenson avrebbe dovuto descrivere un anello al dito di Long John Silver”.

Quel canto piratesco intonava…
“Quindici uomini sulla cassa del morto…”

…al posto del rum, un quarto di vino rosso ti fa compagnia al tavolo 17, tappa riflessiva di un sabato a Lecce…
…dove hai vissuto e sei morto più volte.

– diegofanelli –

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