“IL POZZO”, di Juan Carlos Onetti – LA MIA RECENSIONE/RIFLESSIONE (NO SPOILER)

Si odora le ascelle, Eladio.
Passa il naso da una all’altra muovendo la testa, e la barba incolta gli graffia la pelle.

Eladio Linacero, guardandosi indietro, non avrebbe mai immaginato di trovarsi a vivere in una stanza sudicia ad osservare oltre la finestra la vita degli altri accadere.
Limitato dal perimetro della camera da cui vede fluire le esistenze dei suoi vicini, vive una sorta di paradossale condizione da matematica degli insiemi: il cortile giù è un po’ come un metaforico insieme che collide, senza mai penetrarlo, con quello rappresentato a sua volta dal suo tugurio, e la linea lungo la quale il contatto tra i due avviene, stride per la mancata intersezione.
Non c’è speranza in tal senso: per quanto i due elementi entrino più o meno quotidianamente in contatto, non vengono mai a crearsi due punti capaci di sottendere un’area di condivisione. Egli non vive, sopravvive in uno sforzo di sublimazione continuo raccontandosi storie la cui funzione è: riprendere la realtà racchiusa in strani aneddoti, affiancarla alla fantasia, e tentare di ricevere un sì altrui alla domanda inespressa del: “mi comprendi attraverso ciò che racconto?”

Le storie che Eladio presenta (è un continuo entrarvi ed uscirvi, sempre sul filo della perdita onirica della realtà), sono quindi il ponte simbolico tra i due mondi prima identificati come due insiemi, l’atto più estremo che egli, nonostante il suo stramaledetto e inguaribile scetticismo, deve riconoscersi necessariamente per non ammettere di essere un perdente: ogni tentativo è il movimento di una gomma atta a cancellare la linea di impenetrabile congiunzione disegnata alla base della finestra, dovrebbe liberare spazio in cui tracciarvi poi un insieme “terzo”: un alveo di pace entro cui perdonare (che illusione!) il fatto che “tutto nella vita è merda”, citando precisamente.

Ma l’area “terza” sottesa dall’intersezione sperata si cancella sempre troppo rapidamente, anche quando quelle storie rimangono esclusiva della sua mente e la persona da raggiungere è solo l’immagine inventata di una prostituta: la vede mostrargli la spalla sinistra, ma non c’è voluttà inclusiva, no, s’infrangono tutte le sue illusioni sulla spalla stessa, dal momento in cui egli la nota arrossata mentre la donna esclama: “che bastardi, non si radono nemmeno…”
…si odora le ascelle, Eladio…
…passa il naso da una all’altra muovendo la testa, e la barba incolta gli graffia la pelle…

E poi c’è sempre quel ricordo: sì, quello dell’avventura della capanna di tronchi…

Juan Carlos Onetti attraverso una prosa meravigliosa, restituisce al lettore, con un romanzo brevissimo, una poesia in narrazione potente, struggente, malinconica.
Un uomo solo, Eladio, che, arrivato a ridosso dei quarant’anni, scrive la sua storia; e non vuole mentire perché lo odia!

“Il modo più ripugnante di mentire”, dice, “è dire la verità però occultando l’anima dei fatti”, ed Eladio, di anima, ce ne metterà oltremodo…

-diegofanelli-

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