Sweetheart come

Com’eri bella, delicatamente seduta su quel sedile.
Roma era alle spalle; e i tuoi capelli, mettevano in rilievo il sorriso che rivolgevi a tuo padre e tua sorella, mentre il treno, ritmicamente sulle rotaie, batteva sussultoriamente verso i nostri corpi il classico rumore dell’andare.
Così, io mi facevo “lettore di movimenti” in una carrozza nell’anno 2002: verso sud, verso l’alto dal basso, verso tuo padre, verso tua sorella…e del mio, che sospendevo verso te.
Ti guardavo, immaginando di potermi muovere e raggiungerti con un bacio; e nella poetica, struggente frustrazione della mia volontà, una canzone nelle orecchie t’invitava…
“Sweetheart come…sweetheart come…sweetheart come…”
“Tesoro vieni…tesoro vieni…tesoro vieni…”
…contro il treno.
…contro ciò che testardamente fingevo di non volere.
…e finalmente conoscere il tuo nome.
-diegofanelli-

 

Bangarang

Oltre il muro sonoro, oltre l’invisibile patina verticale dei bpm sbattuti sul viso, oltre il sudore, oltre lo sforzo ritmico del corpo in guerra col naturale cedere al tempo, la vedevo…
Arancione delicato il suo vestito, aderiva alla pelle; lo sguardo, e il sorriso appena accennato tra una sequenza di ottave e l’altra, mi spostavano, mi attraevano, la volontà di attraversare il muro di suono, abbracciarla e ballare, senza limiti di tempo, riunendo profumo e sudore sensuale sotto i vocalizzi del suo nome…
Eternamente, entro 4 minuti.

-diegofanelli-

Mia nonna mi chiamava “Dieco”

Mia nonna mi chiamava “Dieco”.
Non so perché non gliel’ho mai fatto notare prima degli ultimi anni, fatto sta che alle mie correzioni reagiva sempre con la solita sequenza:

1- affermava – contro ogni evidenza – di pronunciare correttamente il mio nome;
2- rimproverava me di averla abituata male e che ormai fosse tardi per cambiare;
3- malediva bonariamente i miei genitori per avermi fatto frequentare la scuola! (?)

Però amavo quando mi chiamava così…
Era il suo modo.

Oggi una bambina, figlia di una mia carissima amica (Roberta, dai un bacio alla piccola Laura da parte mia), ha tenuto il punto con sua mamma nel chiamarmi “Lego”.

“Si chiama Diego…”
“Lego!”

È il suo modo.
E io ormai lo adoro!

-diegofanelli-

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“UNA VITA DA FAVOLA” – La mia esperienza

Questi siamo noi. 
E al contempo non lo siamo.
Annalisa, Diego, Chiara: in una visualizzazione delle nostre miriadi di sfaccettature che vada da “Min” a “Max” – come una manopola del volume qualsiasi -, diradare, addolcire la definizione “inchiodata” di noi stessi, credo contribuisca non poco a rispettare la meravigliosa complessità di cui siamo fatti.

Se mi consento di agire sul “volume” delle mie possibilità d’espressione – immaginandole rappresentate su un foglio di carta dalle lettere del mio nome sotto forma di tasselli su cui abbia ragione di manovra – posso infatti, di volta in volta, permettermi di essere una semplice “D”, quando pure una “G”, o una loro rimodulazione ordinale, non so: un “GEDIO”, un “DOGEI”, e sicuramente anche “DIEGO”, e via dicendo…

Attenzione, non è una liberatoria alla spersonalizzazione la mia (alla “qualunque cosa va bene”), no, al contrario: è un atto di fiducia nelle capacità insite nel mio essere, dalla cui sensata sperimentazione io possa sentire maggiormente a fuoco il “mio DIEGO”, e non il “DIEGO” semplicemente impostomi dalla nascita e/o cucitomi addosso dalla società.
Insomma, è un atto d’amore per sé stessi divenire speleologi delle proprie caverne, mettervi luce e splendere serenamente, in equilibrio con il nostro interno e col mondo/universo verso il quale relazioniamo ogni giorno.

La mia esperienza con “Una Vita da Favola” (spettacolo teatrale di Valentina Elia), è stata appunto questo: vestire più panni (dei costumi sono alle nostre spalle durante l’esibizione, e sono un po’ confetture delle quali sceglierò di nutrirmi l’anima), alla volta di un’armonizzazione del “sé” e del “noi”, che gioca attraverso metafore e stereotipi.
Con ironia.
Con divertimento.

Grazie a Valentina e alle mie compagne di viaggio, Annalisa e Chiara.

-diegofanelli-
NOTA: ho scritto queste poche parole perché mi è risultato necessario. Ieri (17 Maggio 2019), all’interno della “Biennale della Prossimità”, tenutasi a Taranto, siamo stati coinvolti col nostro spettacolo “Una Vita da Favola” (creato e diretto, dicevo, da Valentina Elia – frutto dell’esperienza col suo laboratorio “teaLtro”), tenendo un’incursione all’interno dell’evento grazie a una collaborazione con “La Casa delle Donne”.
Ad assistere, tra i vari interessati, c’erano delle classi di un Liceo Artistico, e al termine della nostra esibizione si è svolto un dibattito sui temi scaturiti moderato da una psicologa (della quale purtroppo non ricordo il nome, mi scuso).
È stato un momento di cui sono grato d’aver fatto parte. Ringrazio tutti coloro che l’hanno reso possibile, soprattutto i ragazzi e le ragazze i quali, con attenzione, hanno arricchito una serata che mi terrò stretta al cuore.

(il mio account Instagram: noninundemonesolo)

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Sta arrivando Maggio

L’aria è fresca.
Le strade diminuiscono nei propri spazi vuoti e la gente brama cemento su cui passeggiare tanto quanto è golosa di gelati da gustare.

Io cammino con lui, che setaccia odori su lastricati sotto quattro zampette.
Io sono sereno.
Perdono l’ennesimo conoscente che mi saluta al suono di “Hey, DARIO!”…

Sta arrivando Maggio.
Trentanove.

-diegofanelli-

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Bambina 1 e bambina 2

Contesto.
Ora guardate il contesto…
Bambina 1 e bambina 2; bambina 1 in piedi a lato della bambina 2.
Bambina 1 ha delle forbici in mano…
Bambina 2 è inginocchiata, testa bassa, capelli lunghi, silenziosa.

Un flusso ondivago, di pensieri inespressi e frasi dette: non avete indicazioni sequenziali, nessun indirizzo che vi guidi, accettate o rifiutate di intendere…

Testo.
Ora vi è il testo…
Ti amo, sai? Oh sì, com’è bello amarti a porte chiuse sorella. Odore di buono in questa stanza, posso fidarmi delle serrature otturate dal mio chewing gum – faranno il lavoro di dilatare il tempo e darmi secondi indispensabili qualora ne avessi bisogno -, le finestre son chiuse, la tv è accesa e ho distorto quel tanto che basta il cavetto dell’antenna per generare l’interferenza che tanto mi aggrada e che tu tanto odi…

Ti amo sai? Oh sì, come fai ad essere così maledettamente bella, e questi capelli lunghi?…come fanno ad esserti scesi sulle spalle, arrivare sui seni nudi e rappresentarti ancora così fottutamente meravigliosa nonostante il rossore vivido, vivo e ancora pulsante sulle tue guance: quanti schiaffi ti ho dato sorella?…eppure tutto è ricaduto splendidamente come velluto di un sipario da palcoscenico, strapazzato da uno spettacolo violento ma che, una volta occultato da quel velluto che viene chiuso, ridona pace e splendore al luogo.
Sei il luogo!
Sei quel luogo che continuo a strapazzare quasi ogni notte, porte chiuse, tv accesa e cavetto distorto…
Chewing gum alle serrature…
Ora ti taglio i capelli sorella, preparati!

Contesto.
Ora ri-guardate il contesto…
Il padre arriva alla porta. Cerca di aprire. Trova chiuso.
Chiede alla moglie come sia possibile che le chiavi siano state lasciate al di là, disponibili alle bambine.

Testo.
Torna il testo…
– Ragazze, ma vi siete chiuse dentro?
– È stata Sara a chiudere, papà! È stata Sara!
– Sara, ora scendo giù perché ho da fare, ma ti dò dieci minuti di tempo per farmi trovare la porta aperta al mio ritorno. D’accordo?

Contesto.
Fine del contesto…
Il Chewing gum rimane lì, senza aver dovuto assolvere negli effetti pratici il suo lavoro, tornerà buono in futuro…
Intanto, il padre troverà la porta aperta…la notte passerà…
La notte passa e la mattina arriva, e sull’autobus che porta a scuola, una delle due avrà ancora il pensiero delle forbici nel cassetto a sua prossima disposizione; l’altra, masticherà forzatamente un chewing gum…che saprà di metallico di serratura…

Come si chiama colei che non mastica?
Può essere Sara, e può non esserlo: le cattiverie, solo pensate oppure attuate, scambiano i nomi senza escludere nessuno…

…e la cicca gommosa la mastichiamo tutti; e a volte, seppur nei sogni, la poniamo di contrasto tra le serrature…
Tra testi e contesti, da contestare e testare, e testare e ri-contestare…testare e contestare… contestare e testare…

Bambina 1 e bambina 2…

– diegofanelli –

NOTA: il tutto è stato scritto con in sottofondo, nelle cuffie, in loop, la canzone “So Far Away” degli Staind.

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