Naso Rosso da Clown

In nessuno zaino dovrebbe mai mancare un naso rosso da clown.
Avete presente?

Dovrebbe essere messo all’interno di una di quelle tasche a cerniera, se lo si sceglie piccolo; altrimenti, lo si potrebbe mettere tranquillamente nella sacca più grande.

Dovremmo portarlo lì custodito in spalla, lungo le strade di città o paesi nuovi alla nostra vista; posarlo per terra nelle attese, e ricordarci di esso quando, seduti in un teatro, magari meta specifica di un viaggio, si è in attesa che inizi la magia…

Più dettagliatamente, quando si iniziano a sentire coriandoli di neve scendere in quantità priva di fine, planare sui propri vestiti e sulla gente attorno a sé; quando il suono vocale privo di parole diviene formidabile mezzo comunicativo, secondo solo ad una corporeità espressiva al servizio di immagini evocative spezzettate ad intervalli oscillanti tra la gioia e il dolore, il sorriso e la riflessione, la risata e la malinconia…

Mi è accaduto a Salerno tutto questo, presso il suo teatro Augusteo, luogo in cui si è rappresentato lo “Slava’s SnowShow”, uno spettacolo clownesco portato in giro da decenni in tutto il mondo: prende il nome da Slava Polunin, suo ideatore e interprete, che, complice l’età, non è stato purtroppo possibile vedere in carne e ossa dietro la maschera protagonista di un sabato 14 aprile…

Però lo ripeto, in uno zaino, non dovrebbe mai mancare un naso rosso da clown…
Avete presente?

Perché si rischia di volersi alzare tra gli applausi dedicati alla meraviglia a cui si è assistito, e tra i palloni lanciati tra il pubblico in festa non poterlo indossare…
…e mancare così di stabilire pienamente, tramite i visi contaminati dall’allegro e triste rossore, una connessione multidirezionale: te stesso con il palco, con lo Slava’s SnowShow, con Slava Polunin seduto chissà in quale posto della terra in quell’istante, con gli amici coi quali stai condividendo quell’esperienza, la gente accorsa e il mare di Salerno a pochi passi dal teatro…

Mai perdere l’occasione di diventare un po’ clown! Per questo, lo ripeto un’ultima volta, in uno zaino non dovrebbe mai mancare uno di quei nasi…
Avete presente?

Ecco,
è l’unico dispiacere che mi porto da quella serata: non averne avuto uno con me.

Per il resto, indosso ancora oggi la gratitudine per ciò che ho visto e provato…

…sì, proprio lì, sul mio naso!

– diegofanelli –

NOTA: ciò che ho scritto è il resoconto sotto forma di riflessioni, raccontate più o meno per immagini, di una serata in quel di Salerno: il 14 Aprile 2018 ha fatto tappa al teatro Augusteo lo “Slava’s SnowShow”, di Slava Polunin.
Noi eravamo là.
E non posso che esserne felice.

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NÉ QUI NÉ ALTROVE, di GIANRICO CAROFIGLIO, la MIA RECENSIONE (NO SPOILER)

Giampiero,
quello dalla strada spianata: suo padre notaio, lui avrebbe fatto altrettanto.
Paolo,
l’amante della filosofia ma che aveva dovuto ripiegare sul diritto.
E poi lui,
scelti gli studi giuridici perché semplicemente non sapeva per cos’altro optare; l’eterno evanescente tra i tre!Conosciutisi al ginnasio, in realtà, si frequentano seriamente a partire dalla facoltà di Giurisprudenza; vivono la loro amicizia intensamente fino a quando, un giorno, si perdono di vista: le strade, come si suol dire, si dividono.
E sembra sia per sempre; finché una telefonata riporta in vita tutto il meccanismo, gli ingranaggi dell’orologio del tempo della loro storia in comune devono ripartire e confrontarsi con un salto di oltre vent’anni dal blocco.

In chiave d’analisi, “Né qui né altrove”, di Gianrico Carofiglio, ha già tutto nel titolo, segnando quel periodo della nostra vita in cui non ci si rende conto della sospensione nella quale si vive: concettualizzazione travolta dall’immanenza della semplicità del “noi”, variabile indipendente dal dove fossimo, dal tempo che occupassimo e dal chi ancora non fossimo stati (più o meno) costretti a diventare.
Nel libro, quell’orologio, ci viene presentato come il quadrante del quale, pur interpellandolo continuamente durante il giorno, facciamo fatica a descriverne le fattezze (lancette, segmenti, numeri…); ed eccola la condizione “né qui né altrove”!: le nostre soggettività che, cristallizzate, fintamente sicure fagocitano quel periodo della vita, prima che essa arrivi a modificare l’ordine privo di responsabilità: difensore “dalla” paura di crescere, decidere, accudire; dal dover avere nostalgia e tenendoci alla larga da alcune domande le quali solo la definizione disillusa del futuro ci chiederà con insistenza di porre.

Bari è sullo sfondo da sempre, eppure, anche la città, solo ora, inizierà paradossalmente ad essere percepita come contorno netto, divenendo un “qui” (il “qui”, appunto), narrato dettagliatamente, denudato, ad esporre tutta la sua contraddittoria bellezza.

Accadranno delle cose, perché ad esse è arrivato il momento di dare conformazione, e tramite le quali incidere fatalmente quella maledetta sospensione; in un gioco dove il territorio è la partenza dalla quale ricavare una mappa descrittiva, e da cui cercare e, forse trovare, le rispettive strade con occhi più veri…

Tutto, a partire da una telefonata che arriva dopo oltre vent’anni: “Indovina chi sono?”

Già, chi siamo?

– diegofanelli –

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