Quattro Angoli

Vedevo i quattro angoli della stanza al Drink’n’Roll come vertici di un ring rettangolare.

Giulia sedeva nei pressi di quello situato più avanti a destra rispetto a dove sedevo; aveva le gambe chiuse, i polsi vicino alla fronte, la testa chinata. Di lei, solo l’odore di vaniglia mi arrivava da dove l’osservavo; anche allungandomi con sforzo, non avrei mai potuto toccarla.

Alle mie spalle, al vertice di sinistra, un piccoletto giocava col suo ciuccio. Era nascosto tra le braccia amorevoli della madre, la quale sorseggiava una Tuborg gentilmente versata dal suo compagno nel bicchiere ghiacciato. Di lei, potevo vedere solo la parte superiore della testa voltandomi a guardarla; il resto, era coperto dal calice carico di birra e dal piccoletto che ciucciava, mentre tutta l’oscurità del locale cospirava nel rendere misteriosa ogni sua restante fattezza.

A destra, sempre alle mie spalle, c’era solo l’ingresso della sala: quel vertice specifico lo battezzai – contro ogni geometria – per quello che effettivamente era: l’ingresso e l’uscita dedicato al personale del Pub e agli avventori in transito.
Rimaneva da caratterizzare il vertice sinistro davanti a me, che guardavo senza fatica oltre i capelli castani di una ragazza con un neo in alto a destra sotto le labbra.
Il mio tavolo, anche lui a sua volta, poteva essere visto come un ring allungato per due lati: un rettangolo sul quale i miei gomiti posavano il peso e dal quale i miei occhi potevano fantasticare in una stanza che pensavo luogo di lotta.

Ogni tavolino era dotato di una lampada; la luce di quella attaccata al mio si accendeva e si spegneva, faceva contatto: toccando il cavo che le forniva energia, la resistenza all’interno smetteva di tanto in tanto di perpetrare l’incandescenza, mettendomi in condizione di quasi oscurità, complice la bassa (e voluta) illuminazione del Pub.

Tra un sorso alla mia birra e l’altro, approfittando della viralità dell’alcool nel mio corpo, giocavo quindi con l’immaginazione: ero al Drink’n’Roll, ma ero anche in un ring; ero alla luce ed ero anche al buio; ero semplice cliente ed anche scrittore (scrivevo infatti su un altro rettangolo, immaginario, composto nella mia testa: bianco, pronto a ricevere il mio inchiostro simpatico).

Le dita della mano sinistra di “Oh Petroleum” si mossero finalmente sulla tastiera della chitarra: lui occupava il vertice sinistro finora mancante nella descrizione.

Sul ring, Giulia sollevò il capo; il piccoletto incrociò lo sguardo di sua madre; e un cameriere entrò con nuove portate, perlopiù alcolici…
“Oh Petroleum” con i suoi pezzi, invase tutto soggiogando sinesteticamente la vaniglia di Giulia; il piccoletto vide la madre portare alle labbra il bicchiere e il liquido giallastro entrarle nella bocca; una cameriera uscì per il mio anti-geometrico vertice posteriore destro con resti di stuzzichini dentro alcune ciotole sul vassoio che portava…

Ri-accesi la lampada difettosa del mio tavolo spostando a sinistra la mia gamba e tenendo appiccicato il cavo elettrico contro il muro (intuii che così il contatto sarebbe divenuto stabile…)
Ora quindi vedevo meglio.
Diedi ancora un sorso alla mia birra, uno più lungo del solito…Giulia si alzò; posando i polsi lungo i fianchi diede vita ad una danza tra i tavoli; il piccoletto sentì una goccia del liquido giallastro bagnargli una guancia – era caduto dall’alto -; io chiusi gli occhi…
Sentii tutta una canzone a quel modo.
Quando sospettai che stesse arrivando al termine, li riaprii…

Una donna con una profonda scollatura era al centro del ring che mi ero figurato al posto del locale, e i suoi seni m’invitavano ad alzarmi…
Così feci, il cavo elettrico cadde ma la lampada rimase accesa.
La donna salì su una sedia, le sue splendide tette semi-nascoste si posero davanti ai miei occhi.
Mi avvicinai, misi le mie labbra sul limitare di un bacio ipotetico che le raffigurai al centro del petto, ruotai il capo, vidi nei suoi occhi il riflesso di Giulia che continuava liberamente a ballare; mi rivolsi di nuovo a quelle belle tette, e io seppi in quell’attimo che la goccia di birra stava entrando nella bocca del piccoletto precipitando dalla guancia…

Quanto a me, un’enorme nuvola di vaniglia pervase la mia bocca non appena mi dedicai a quelle carnose e armoniose sconnessioni; sentii un’erezione…

La musica finì.
Silenzio sul ring.

Al “Drink’n’Roll”, al suo interno, in una sola stanza si combatterono senza esclusione di colpi decine di simboli dei quali solo alcuni ho deciso di rendere noti.
I restanti, rimangono nel mio di petto, dove risiede il cuore che sussultava alla pressione dei seni semiscoperti di Lisa…

Lisa…
il vero arbitro del mio destino di una sera, tra i colpi da pugile non mortali della vita…

– diegofanelli –

(NOTA DELL’AUTORE: Il Drink’n’Roll è un Pub che si trova a San Vito dei Normanni. E’ stato amore a prima vista, anzi, a primo “ingresso”. Nutshell, brano degli Alice in Chains che adoro, suonava non appena ci sono entrato. Antonio, Antonella e tutto il personale sono stati gentilissimi, pronti a scherzare e a fare due chiacchiere.
Andateci se potete, non perdetevi gli eventi che organizzano!

Anche “Oh Petroleum”, esiste davvero: è il nome di un artista che quella sera suonava in acustico. Davvero in gamba, cazzo! Gli ho comprato anche l’album!

Io ero lì la settimana scorsa con amici e mi sono gustato il concerto.
Il resto…beh, è un insieme di tanti pizzichi di realtà vissuta all’interno di tanta fantasia…e viceversa!

Grazie mille ai ragazzi del Drink’n’Roll e a “Oh Petroleum”!)

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FIRMINO, di Sam Savage (NO SPOILER) – Video Recensione

La mia VIDEO Recensione (NO SPOILER) del libro:

“FIRMINO”, di Sam Savage.

Ho già pubblicato tempo fa la versione scritta (cercatela con l’opzione di ricerca)

Buona Visione!

video recensione di Diego Fanelli

Testo: Diego Fanelli

Brani in sottofondo
(dal sito freemusicarchive.org):

Corporate Presentation, di Scott Holmes
Happily Ever After, di Borrtex

contatti:

Facebook: diego.fanelli.37
Blog: NonInUnDemoneSolo.wordpress.com
Email: diegobruges@gmail.com
telegram: diegofanelli
instagram: diegofanelli

– diegofanelli –

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Di crederti non ho voglia, adesso

Di crederti non ho voglia, lasciamo invece aperte le rispettive porte della rabbia; infaticabili creature sputanti fuoco lambiamoci le rispettive forme: dagli usci del sé in condizione oppositiva si sputino lingue salivari di ciò che credevamo per noi il giusto…

Pure negli interstizi temporali, fin nei vuoti tra una fiammella e l’altra, pregheremo acchè ci sia spazio per affondare ancora un’altra lama senza che l’altro chieda pietà…

Perchè se mi sei diventata imprescindibile, voglio nutrire questa condizione raggiunta impegnandomi a farci del male oltre che del bene….

La ferita è grande verità, la carne brucia e non c’è spazio-tempo sufficiente per la menzogna…

Per questo feriscimi oltre che custodirmi: continuerai a risultarmi importante, avrai valenza, purchè i tagli da te inferti rispondano al solo giogo del tuo intelletto.

– diegofanelli –
(immagine “free to use”, presa dal sito pixabay)

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Il flusso di Darryl

Cammina pure col cappello nero, Darryl, mentre una strana coltre di pioggia si manifesta attorno al tuo corpo. Il fumo sale dai comignoli bianchi, si sente un odore di lontana carne bruciata.
Tu cammina, lascia che siano le note a cuocersi nella fucina delle tue orecchie distese. I Mogwai e la loro Wizard Motor. Solo suono, che fa vita. Vita, ciò che questa signora vorrebbe se non fosse impegnata a guardar di traverso i tuoi occhi nascosti dalla visiera. Possiamo spiegare le cose, Darryl? Possiamo permetterci di ideare un vocabolario di espressioni che spieghino altre espressioni? Sarebbe meglio comprendere e non spiegare. Spiegare ti rende luogo alto e il resto è basso. Comprendere invece unifica, diluisce tutti in un unico battito formalmente definito come umano, informalmente distinto nelle diversità che caratterizzano l’unico che siamo. E comprendere significa associare. Cos’è l’amore, Darryl? Devi comprenderlo adesso, mentre cammini col cappello nero sotto una coltre di pioggia manifesta. Sarà per caso l’amore questa coppia sulla panchina rossa scura, legno su cui posano le loro pelli che oggi si raffreddano e ieri si cuocevano di sesso e passione? O è una fluida conformazione di tiepido gelato che si scioglie e che scende sulle dita che abbracciano un cono? L’amore, può essere un misto di ingredienti compatti e pseudo-naturali abbracciati in un gelido gusto? La verità? La verità è l’unione delle due cose, Darryl. L’amore non è solo la coppia e non è solo la morfologia di un denso liquido dalla eco di un gusto naturale caduto sulle tue mani dall’orlo di un cono. Ma è il loro unirsi, per associazione. Si, Darryl. Non cercare di spiegare. Comprendi. Cammina pure col cappello nero, mentre una strana coltre di pioggia si manifesta attorno al tuo corpo. Quando l’acqua distinta in gocce dalla visiera zampillerà sul gelato ne macchierà la forma e ne spingerà pezzi fluidi in vicoli umidi sino al tuo palmo e la stessa pioggia bagnerà le cosce di questa donna su legno rosso scuro raggiungendone l’interno profondo per righe curvate dalla sensualità mista a carne di femmina, se lei alzerà lo sguardo e l’incrocio tra mille ovuli di vapore acqueo non distoglierà l’incontro con il tuo, allora comprenderai…
L’amore è associazione. Ma non solo di questo. Di tutto. Di voglia, di incontro, di tradimento e anche di ciò che non ha senso.
Anche di ciò che non ha senso, Darryl…
Come procreare per poi sapere di destinare alla morte. Non smettiamo comunque di farlo…
Metti sempre qualcosa che non ha senso in testa, Darryl. E falla convivere con tutto il resto…
Tu non smettere di camminare…
Mentre una strana coltre di pioggia ti bagna, come comprensione che cade e ti invade…
Associa pioggia e vita, Darryl, stai vivendo e un giorno morirai, un giorno morirai e stai vivendo…
Che senso ha un gelato in una riflessione, Darryl?
Comprendilo…
Associalo…

(autore: diegofanelli)
Canzone suggerita: Wizard Motor – Mogwai
Immagine presa da internet